Processo Eternit: fra diritto e giustizia

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di Maria Rosaria Todisco

Alla luce della recente legge sugli “ecoreati” (l. 68/2015), sembra utile analizzare in sintesi l’ormai concluso “processo Eternit”, tanto discusso negli ultimi anni, e fornire una breve cronaca dell’attività legislativa sui reati ambientali. Il problema dell’inquadramento dal punto di vista giuridico dell’inquinamento – in particolare del disastro ambientale – è divenuto infatti sempre più incalzante proprio a seguito del dilagare di malattie da esposizione da amianto.

Il processo prende il nome dall’azienda “Eternit”, di proprietà della famiglia svizzera Schmidheiny e di quella belga De Cartier, che a sua volta prese il nome dalla lega di cemento e amianto brevettata nel 1901, alla base della produzione dell’azienda svizzero-belga. Anche in Italia furono aperti diversi stabilimenti, ma il più famoso si trova a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. Benché gli studi sulla pericolosità dell’inalazione delle fibre d’amianto, e della manipolazione dello stesso senza le dovute precauzioni, risalgano alla fine degli anni ’50, l’azienda ha continuato la lavorazione fino al 1986, anno in cui venne dichiarato il fallimento. Nonostante fosse a conoscenza dei rischi, l’azienda non ha mai preso misure di sicurezza e ha, anzi, elaborato una contro strategia informativa volta a minimizzare gli effetti dannosi del materiale al fine di tranquillizzare lavoratori e sindacati. Dei quattro stabilimenti aperti in Italia, solo due sono stati poi bonificati, non evitando comunque la morte di 2856 persone di cui 2575 ”esposti professionali”.

Il processo riassunto in breve

Nel 2009 la procura di Torino, a seguito di indagini che hanno accertato l’esistenza di un collegamento fra i numerosi decessi e malattie e la dispersione di amianto, chiede una condanna a 20 anni di carcere, contestando ai proprietari della multinazionale Eternit due reati: omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale (allora ancora non previsto nel nostro codice penale in via autonoma e quindi ricondotto nella più ampia categoria di “disastro innominato”). I magistrati sostengono infatti che, nonostante dalla chiusura dello stabilimento fossero oramai trascorsi ben 23 anni, il reato non poteva essere considerato prescritto in quanto l’evento disastroso è ancora attuale e che anzi, secondo gli studi, il picco epidemiologico si avrà solo nel 2025 avendo la malattia un periodo di incubazione di circa 30 anni.
La procura ipotizza quindi la sussistenza di un reato permanente (reato in cui il momento consumativo si protrae nel tempo, spostando così l’inizio della decorrenza dei termini di prescrizione solo al giorno in cui cessa la permanenza), ipotesi suffragata anche dall’omessa bonifica di due degli stabilimenti nei quali l’amianto era stato interrato o addirittura lasciato nei piazzali, esposto alle intemperie.

Il tribunale di Torino condanna gli imputati a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissione dolosa di cautele infortunistiche ma solo in relazione ai due siti non bonificati in precedenza, ritenendo per i restanti due il reato oramai prescritto.

La Corte d’Appello, al contrario, condanna Schmidheiny, rimasto unico imputato a seguito della morte del belga Louis De Cartier, a 18 anni di carcere e al pagamento di ingenti somme a titolo di risarcimento danni ai malati e alle famiglie delle vittime. Prevede infatti la responsabilità penale anche per i siti bonificati sostenendo che, fino a quando non cesserà il fenomeno epidemiologico, l’evento disastroso non potrà considerarsi consumato e quindi i reati prescritti.

La Corte di Cassazione fa arrivare però una doccia gelida su tutta l’opinione pubblica: nel 2014 dichiara prescritti tutti i reati ancor prima della sentenza di primo grado facendo così venir meno anche le condanne risarcitorie in precedenza previste.
La Cassazione smonta punto per punto sia la sentenza del Tribunale di Torino che quella della Corte d’Appello, criticando sia la qualificazione del reato come permanente che l’inserimento nell’evento disastroso del fenomeno epidemiologico (sostenendo che esso rientri nei reati contro la persona). Ritiene dunque il reato consumato nel momento in cui è cessata l’emissione delle fibre d’amianto, momento fatto coincidere con la chiusura dei cancelli nel 1986, e che non possa essere accolta la configurazione di reato permanente neppure avvalendosi dell’argomentazione dell’omessa bonifica, in quanto in quell’epoca non erano previsti obblighi normativi in tal senso.

La reazione collettiva è stata durissima, esponenti politici di diverse fazioni si sono uniti all’indignazione e allo sconcerto. Si poteva evitare una sentenza così ingiusta dal punto di vista sociale? La risposta chiara e precisa la ritroviamo proprio nella requisitoria del procuratore generale Francesco Iacoviello, che chiese l’annullamento senza rinvio in Cassazione del processo. Iacoviello afferma: “Alla fine la prescrizione non risponde ad esigenze di giustizia sociale, ma stiamo attenti a non piegare il diritto alla giustizia sostanziale. Il diritto costituisce un precedente, piegare il diritto alla giustizia oggi può fare giustizia ma è un precedente che domani provocherà mille ingiustizie. (…) E’ naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia, ma quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia non ha alternative: è un giudice sottoposto alla legge, tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto.”

Qual è la situazione del nostro ordinamento in merito al problema amianto?

Dal 1992 è entrata in vigore in Italia una legge che vieta la lavorazione, la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione dell’amianto. L’obbligo giuridico di bonifica risale invece al decreto Ronchi 22/97, poi ripreso nel codice ambientale 252/2007 il quale ha ripreso a sua volta le direttive comunitarie.

Il 22 maggio 2015 nel nostro codice penale è stato introdotto, con la legge n. 68, il nuovo titolo “Dei delitti contro l’ambiente” che ricomprende gli articoli dal 452 bis al 452 terdecies prevedendo cinque nuovi delitti: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo, omessa bonifica.
Ci si chiede perché una normativa su questo tipo di fenomeni abbia atteso così tanto tempo prima di essere approvata benché dal 2007 pendessero in parlamento disegni di legge sui cosiddetti ecoreati; quello che oggi si spera è che questa nuova legge, nonostante alcune sue criticità, possa evitare in futuro situazioni simili al caso Eternit.

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